martedì 25 ottobre 2011

CORSI E RICORSI DELLA STORIA

CALATANIXECTA
SERVANDA EST
(Caltanissetta deve essere salvata)

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CORSI E RICORSI DELLA STORIA
monumenti senza pace
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oggi
UMBERTO I
ieri
FRANCESCO I
e
FERDINANDO I


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Le foto sono di Giuseppe Castelli, le cartoline sono tratte dalla mia collezione.




Il senso della storia dell’umanità sta sia nella storia stessa, che fuori di essa.
Ogni civiltà procede in pratica ciclicamente verso l’idealità, per poi collassare su se stessa e ripercorrere i propri errori.
E’ questo quanto ipotizzato dalla teoria dei corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico rielaborata in seguito da Benedetto Croce
Prendiamo ad esempio il monumento a Umberto I nel corso omonimo, più volte in questi anni oggetto di polemiche, con la richiesta di spostamento in altri luoghi, e oggi di nuovo nel mirino  dei media perché:
Con il secondo stralcio esecutivo del progetto “La Grande Piazza”, che non ha niente di grande e ne tantomeno di piazza, si prevede l’“atterramento” della statua di re Umberto I dal suo piedistallo, come fosse un oggetto qualsiasi, un cittadino qualunque.
A Racalmuto è stata realizzata una statua che raffigura Leonardo Sciascia mentre passeggia sul marciapiede del corso. 


                        le  statue…distanti…tra di loro e… che vanno in senso opposto 



La differenza fra le due realtà è sostanziale.
Sciascia viene ricordato dal suo paese, appositamente, posto sul marciapiede che calpestava, come se fosse ancora tra di loro.
Re Umberto, non è uno di noi, è stato una sola volta a Caltanissetta nel 1881; era il re d’Italia e come tale lo dobbiamo rispettare anche se ormai non c’è più la monarchia.
Il secondo re d'Italia, Umberto I, era conosciuto come il Re Buono e viene commemorato con un monumento di sette metri di altezza circa, statua di bronzo, in piedi su un piedistallo di peperino in corso Umberto I, nel piano del Collegio. La progettazione e la produzione della statua è stato un lavoro lungo e difficile per lo scultore Michele Tripisciano, che ne aveva realizzata un’altra versione nel 1900, come vediamo inciso in questa statua, dopo la morte dell’artista nel 1913. La sua collocazione si ritarda, oltre per i pareri discordi sulla sua sistemazione è stata interrotta a causa della prima guerra mondiale, così 12 anni dopo il suo completamento il Monumento a Umberto I è stato inaugurato nel corso.
Quindi nel 1922, nello slargo davanti la chiesa di S. Agata al Collegio,  in  c. so Umberto I, s’inaugurò il monumento a Re Umberto I, a ricordo del mortale attentato contro il sovrano ucciso da tre colpi di pistola la sera del 29 luglio 1900 a Monza da un anarchico individualista di nome Gaetano Bresci, toscano.
Anche la città di Caltanissetta, dunque, sebbene con molto ritardo, volle onorare il secondo Re d’Italia con un’opera architettonica, con il Re in Alta uniforme da generale in posa dinamica.
Tutti sappiamo, che questo monumento è opera di Michele Tripisciano, nostro illustre concittadino, che ha fatto conoscere con le sue opere il nome di Caltanissetta nel resto del mondo (da Roma, Milano, Parigi, Liverpool, Windsor, New York, Chicago, Buenos Aires ecc.).
Michele Tripisciano, nasce a Caltanissetta il 13 luglio del 1860 (pochi mesi dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala) da Calogera Falci e il mastro “quartararo”  don Ferdinando che aveva lo stazzone a S. Elmo poco distante dall’abitazione sita in via Ciantro Marrocco nel rione della Saccarella.

Il portone della casa natale di Tripisciano in via Ciantro Marrocco alla Saccarella, e la lapide a ricordo.

Il piccolo Michele era solito modellare figurine nello stazzone di suo padre, che non gradiva questa sua inclinazione.
Interno di un laboratorio di un vasaio
 
vasi e mattoni ad asciugare





Per interessamento del barone Gugliemo Luigi Lanzirotti, al quale Michele aveva fatto un busto tratto da  una fotografia, viene accolto nel 1876, a tredici anni, nell’Istituto Apostolico San Michele a Ripa a Roma, destinato ad accogliere e rieducare giovani orfani e bisognosi attraverso le scuole d’arte.
Segue i corsi con passione e si dimostra allievo versatile e  brillante, così appena “diplomato” nel 1880, entra nello studio dello scultore Francesco Fabi Altini (Fabriano –Ancona il 15 sett. 1830), con il quale collabora nella realizzazione di diversi soggetti, come quello di “Galatea” per l’esposizione a Londra, dove si trova, la statua in marmo che raffigura la ninfa a grandezza naturale, seduta su una roccia, lambita dal mare mentre si toglie il velo che la ricopre.
A Roma, sotto la guida del predetto scultore, Michele si forma e diviene uno dei maggiori artisti del momento, vince diversi concorsi, e gli vengono affidati incarichi di prestigio e partecipa a mostre ed esposizioni in tutto il mondo dove riceve diversi premi e benemerenze.
e otto anni dopo potè prendere un suo studio in via Aureliano. Orfeo", scultura in marmo; 1898. Esposta nella prima esposizione italiana di belle arti a San Pietroburgo.
È versatile nella scelta dei materiali, modella la creta e il gesso, scolpisce il marmo, e fonde il bronzo .



Immagine di fine 800 di uno stazzone dove si può riconoscere la figura di Tripisciano (?) in visita


L’attribuzione dell’opera a Michele Tripisciano non si riferisce alla sola statua ad Umberto, ma anche al basamento, molti non sanno che sono entranbi firmati, sia la statua che il piedistallo.
Sul frontalino della base circolare, nel lato destro la firma e la data “M. TRIPISCIANO 8 FEB 1910”, a sinistra “Fond. Nelli – Roma”, 


Nel lato destro della base della statua con la firma
M. TRIPISCIANO
8 FEB 1910

  ...e sul lato sinisstro  l'indicazione :
                                    Fond. Nelli -ROMA
Michele Tripisciano, aveva già realizzato un'altra statua in onore del Sovrano, subito dopo l'attentato al Re, ma non sappiamo che fine abbia fatto questa opera e in che materiale fosse stata realizzata, dieci anni dopo però realizza questa  come apprendiamo dall’incisione  nella parte posteriore dello stessa base:
“DOPO 10 ANNI PER LA SECONDA VOLTA M. TRIPISCIANO MODELLO NEL 1910 PRESTANDO GRATIS L’OPERA SUA”

La base, leggermente bombata per non fare ristagnare l'acqua piovana,  dove sul retro si trova  la scritta :
DOPO 10 ANNI PER LA SECONDA VOLTA 
M. TRIPISCIANO MODELLO NEL 1910 
PRESTANDO GRATIS L'OPERA SUA

Il piedistallo con la firma:
                             M. TRIPISCIANO
                                           IDEO'
Dello stesso periodo è il bozzetto in terracotta realizzato per il venticinquesimo anniversario del matrimonio, il 22 aprile 1893, conservato al Quirinale, che rappresenta re Umberto in alta uniforme con la mano alzata (che fa il saluto militare?), con accanto la Regina Margherita, mentre incedono e salutano
Bozzetto in terracotta raffigurante la coppia reale nel 25° anniversario di matrimonio 1893, conservato al Quirinale, dove  Umberto I ha la stessa impostazione della nostra statua 
 Tripisciano era stato nominato Cavaliere della Corona proprio da Re Umberto, il 18 marzo 1900, che si era voluto congratulare personalmente con l’artista, durante la cerimonia di inaugurazione della “Lapide in onore degli ufficiali medici caduti nelle guerre di Crimea, d’Italia e d’Africa” posta nell’androne dell’Ospedale militare del Celio a Roma, opera questa che era stata definita dall’importante rivista “L’Illustazione Italiana” un’opera che aveva saputo compendiare l’aspetto civile e commemorativo con quello lirico e poetico. 
Nel 1912, anche Vittorio Emanuele III, succeduto a Umberto I, gli conferisce una seconda onorificenza, quella di Cavaliere di San Lorenzo e San Maurizio.  
Monumento a Giocchino Belli in piazza Sidney Sonnino (Trastevere) a Roma  
Il monumento, piuttosto articolato, mostra caratteristiche è realizzato tutto in travertino: al di sopra di un alto basamento è collocata la statua del poeta, che poggia la mano destra su una ricostruzione della spalletta del ponte Fabricio, detto anche dei Quattro Capi, riconoscibile per la presenza di una delle erme quadrifronti che lo caratterizza. Sotto nella parte basamentale è rappresentata in bassorilievo la personificazione distesa del Tevere, mentre sul retro è raffigurata una scena dove un gruppo di popolani attornia la statua parlante di “Pasquino”. Alle sue estremità sono due fontane gemelle che ricevono acqua ognuna da un mascherone che raffigura la “Poesia” e la “Satira”.    
Corrado Augias nel suo “I segreti di Roma, del 2005.descrive in questi termini: "L’opera di Michele Tripisciano, in travertino, non avrebbe particolari pregi se non fosse per un paio di gradevoli caratteristiche. La prima è compositiva: la figura umana, verticale, risulta contrapposta all’orizzontalità del basamento su cui poggia e sul quale lo scultore ha riprodotto l’erma del vicino ponte Quattro Capi. La seconda, anch’essa piuttosto interessante, è la scenetta poco visibile, raffigurata sul retro, in cui alcuni popolani, radunati intorno al tordo detto “di Pasquino”, sono intenti a leggere un cartiglio contenente dei versi certamente satirici."                            

 Michele Tripisciano, ritornato a Caltanissetta nel 1913, dopo il trionfo avuto a Roma per l’inaugurazione del monumento a Giacchino Belli, a Trastevere, il 4 maggio, muore per una banale polmonite a soli 53 anni il 21 settembre dello stesso anno e viene sepolto nella cappella del barone Luigi Guglielmo Lanzirotti, suo mentore e benefattore. xxxx
Ha lasciato per testamento al comune di Caltanissetta tutte le sue opere, bozzetti in gesso e quelle finite presenti nel suo studio romano, tra queste c’era il monumento ad Umberto I che era stato ultimato l’8 febbraio del 1910. l’artista non lo vide collocato perché  fu posizionato a Caltanissetta dopo la sua morte, nel 1922, dopo il superamento dei pareri discordi sulla sua collocazione..
Dopo le iniziali difficoltà nella scelta del sito più adatto per accogliere il progetto, l’area urbana individuata fu quella del tratto di corso Umberto I nel piano davanti la chiesa di S. Agata. L’iniziativa fu resa possibile grazie al maggior spazio che si era venuto a creare con la realizzazione del nuovo scalone d’accesso alla chiesa di Sant’Agata, progettato dall’ing. Pasquale Saetta nel 1891 in sostituzione della “magnifica scala di travertine a più braccia in figure rotonde, ed ornata di magnifica Balaustrata Luciano Aurelio Barrile  “Ragioni a Pro della Reintegrazione della Città di Caltanissetta al Sagro Regio Demanio del Regno di Sicilia” Napoli 1756.
Alla fine dell’ottocento infatti, a seguito dell’abbassamento di quota delle strade circostanti per la costruzione della strada consolare per Palermo con la conseguente realizzazione del bastione, lo scalone polilobato, rimasto “in aria”,  viene demolito e arretrato, e ricostruito con la soluzione a doppie rampe contrapposte, per dar maggior spazio allo slargo.


 


Planimetria dello  scalone polilobato della chiesa del Collegio del XVII sec (1655) prospiciente l’attuale c.so Umberto I, realizzato su progetto di Fra Pietro da Genova, e la balaustrata “co li soi mezzi balaguni attaccati”, aventi gli stessi decori “mustazzole” di Palazzo Moncada. (Archivio di Stato di Caltanissetta).            a destra   Balaustrino con mustazzola originale che decorava e proteggeva lo scalone.



Forse, anzi sicuramente, i nisseni non hanno mai guardato con attenzione questo monumento, lo hanno considerato come spartitraffico o meglio come posteggiatore o come  curiosità un po’ osè,  da mostrare ad amici e parenti e forestieri o ai pochi  che  non lo sanno ancora, relativamente alla  particolarità di prospettiva e di angolazione (dovuta anche all’altezza) che fa assimilare il dito indice della mano sinistra posta sull’elsa ad un altro organo anatomico e che … quando piove ….;

Immagine della statua con “veduta osè”
 Il monumento invece, è veramente un’opera d’arte (meglio di una fotografia) è rifinito nei minimi particolari, le doti di Tripisciano emergono anche nella resa dei dettagli dell’alta uniforme del sovrano, tanto da essere definito nel dizionario dei Siciliani illustri di F. Ciuni del 1939  “tra le opere più pregevoli del Tripisciano”.
La statua in bronzo, a grandezza poco più del naturale è alta m. 1.90 circa,  raffigura il Re in posizione altera, con i sui baffoni pieni a manubrio, modello che diede vita ad uno stile che da lui fu chiamato appunto all’umberta.
Il Re si vede in un’immagine eroica in posa plastica, come nelle foto ufficiali, con la gamba destra
leggermente piegata in avanti, e l’altra diritta all’indietro, la mano destra appoggiata al fianco mentre regge i guanti, mentre si appoggia con l’altra sull’elsa della sciabola con pendagli e dragona agganciati al fodero.
Foto ufficiale del Re dalla quale,  forse, Tripisciano ha tratto ispirazione

 Veste l’alta uniforme con la giubba  a doppio petto con due file di bottoni,  con bavero con filettature e stellette, paramani chiusi da sei piccoli bottoncini nella parte posteriore e decorati con galloni e galloncini con intreccio superiore a fiorone sul davanti; sulla giubba indossa la sciarpa a tre fasce, e spalline con cordoni pendenti, trecce sul petto, onorificenze e decorazioni al merito
Giaccone con bordure di pelliccia d’astrakan e alamari a cordellina posto  sulle spalle trattenuto da cordelle, i pantaloni filettati e banda passante sotto scarpa e bottoncino dalla parte interna, stivaletti con gli speroni.
Particolare nel quale si vedono gli peroni
Indossa un elmo piumato con piccola visiera con soggolo decorato a palmette come soprafascia, fregio frontale con la stella a cinque punte posta sopra una raggiera,con al centro la croce sabauda,  in cima il cimiero a forma di aquila reale di Savoia con le ali spiegate e la corona araldica del regno d’Italia in testa, dietro  un vaporoso piumaggio di aigrette con pennacchio centrale.
Particolare del cimiero con l’aquila coronata
Il monumento è collocato su un piedistallo alto in totale cm. 500 circa, è formato da un cilindrico variamente modanato del diametro medio di  Ø cm 100 circa, costituito sostanzialmente da due rocchi di 100 cm ciascuno, oltre le modanature, collocato su una base quadrata con quattro prismi agli spigoli, formando un cerchio inscritto ad un quadrato, in uno dei quali è apposta la firma: “M. TRIPISCIANO IDEO‘ ”, (la stessa iscrizione che si trova nella coda del gruppo del tritone)

La firma apposta sulla coda del Cavallo marino.
 e poggia su un alto stilobate  piramidale tri-gradonato dell’altezza di circa cm. 100, è delimitato da un recinto in pietra  dal quale spiccano otto plinti (tre per lato: due agli angoli ed uno al centro) in cima ai quali si trova un anello dove sono attaccate delle grosse catene con anelli doppi ritorti,  che racchiudono una stretta aiuola
Negli anni Trenta, le catene furono tolte (come tutte le inferriate e cancellate della città) durante la campagna «ferro per la patria» promossa dal regime fascista, per incrementare l’industria bellica.
In questa stretta aiuola era stato piantato un filare di Ligustro, che formava una bassa siepe squadrata in sostituzione della catena, fino a quando l’incuria o... l’ha fatta crescere disordinata tanto da diventare agli angoli degli alberi che oltre a disturbare lo stesso monumento, occludevano, fino a poco tempo fa, la vista di buona parte della facciata della chiesa. Oggi gli alberi non ci sono più al loro posto una siepe di Piracanta con bacche arancio, naturalmente, poco  curata e ovviamente spigata disordinatamente tanto da nascondere, questa volta, le catene.

Particolare delle catene doppie ritorte nascoste dal cespuglio “spigato”
 Il problema quindi non è il monumento, ma la manutenzione.

Immagini  del piano davanti la chiesa del collegio  con e senza statua



Veduta della chiesa del collegio degli anni '30 dove sono visibili,
posti ai lati della scala due alberelli, evidenziati nei particolari.
Il piedistallo, che molti ritengono di pietra lavica, è in realtà peperino grigio chiaro o rosa (materiale raro) che con l’ossidazione e diventato grigio oscuro, colore che  si vede in particolari momenti d'illuminazione.
È alto più di cinque metri, lineare, in basso, lateralmente al primo “rocchio” si trovano due basse paraste dove  sono scolpiti gli scudi con corona araldica rispettivamente di principe con lo stemma tri-turrito di Caltanissetta a sinistra e gentilizia a destra con lo stemma crociato dei Savoia, sul quale era sovrapposto il fascio del regime, che è stato rimosso a scalpellate


Particolari degli stemmi con corone araldiche, quello Sabaudo scalpellato dal fascio che aveva sovrapposto.

Al centro in alto la scritta entro cartiglio rettangolare riquadrato con code laterali la dedica:
“A UMBERTO  I - MCMXXII”
Cartiglio con la dedica:
                                                   A 
                                      UMBERTO  I
                                             MIMXXII
Il peperino o piperino è una roccia magmatica, tipica delle zone del centro Italia in particolare di Marino, in provincia di Roma, costituita da frammenti di trachite o di tefrite,  e contenente leucite in varie percentuali. Il colore classico è il grigio macchiettato. Il nome peperino deriva dal latino tardo lapis peperinus, derivato di piper (cioè pepe), per la presenza di particelle di biotite di colore nere simili a grani di pepe.
Nei primi novecento, il peperino iniziò anche ad attirare l'attenzione di numerosi artisti, così il nostro Tripisciano lo utilizzò per il basamento del re buono dopo averlo apprezzato appunto a Marino quando  gli fu commissionata nel 1889 la realizzazione di una fontana del Nettuno da collocare nella piazza San Barnaba. La fontana di forma ellittica ha due beverini laterali ed è stata realizzata nello stesso anno 1889.
Il peperino grigio è un derivato dalla cementazione dei materiali eruttivi uniti a residui del disfacimento di parte delle rocce del primo stadio vulcanico. Il suo consolidamento è avvenuto nel corso dei secoli.


Marino: Fontana del Tritone o del Cavallo L’opera gli era stata commissionata nel 1889 dal Comune di Marino, nello stesso anno realizzò la vasca di forma ellittica in travertino, alle estremità due beverini laterali sormontati da stemmi e cornucopie sotto ad una delle quali  è incisa la data ANNO 1889, mentre la scultura in marmo di Carrara, è del 1890, dopo che aveva realizzato il bozzetto in gesso, utilizzato nel 1955 per la fontana in bronzo di Caltanissetta. Attorno alla fontana era  posizionata un'alta cancellata, tolta negli anni trenta per il "ferro alla Patria"
Il bozzetto in gesso di questa fontana, come tutti gli altri che per testamento  Tripisciano donò al comune di Caltanissetta, fu collocato nell’androne dello scalone di rappresentanza del Comune e li sttette fino al 1955, quando su progetto dell’arch. G. Averna, è stato inopportunamente sacrificato, purtroppo, come calco a perdere, per la fusione in bronzo, finalizzata alla realizzazione della fontana che si trova oggi in piazza. La posizione del gruppo, nella nuova fontana, è stata modificata, rispetto all’originale, ruotando il Tritone in posizione parallela al cavallo, mentre i due mostri marini sono stati realizzati appositamente dal palermitano G. Rosone del 1955.
Il bozzetto del gruppo in gesso, del cavallo marino realizzato dal Tripisciano nel 1890 per la fontana di Marino, e posizionato nell’androne dello scalone di rappresentana di Palazzo del Carmine dopo la sua morte fino al 1955, quando è stato sacrificato per la fusione per la realizzazione dell’attuale fontana posizionata al centro di Piazza Garibaldi.
In questa immagine il tritone non è visibile perché nascosto dal collo è criniera del cavallo.
Le altre opere  e bozzetti, oggi finalmente, dopo varie peregrinazioni e sistemazioni di “Musei”, che si sono rivelati provvisori e non idonei, stanno trovando una dignitosa collocazione nella gipsoteca che si sta allestendo nelle sale di palazzo Moncada.
Inizialmente i locali adibiti a museo sono stati quelli del Carcere Vecchio, in via M. Tumminelli, immagazzinati e  finalmente posti negli anni 50 nel “Museo Civico” in quella che si chiamava via Nuovo Scalo Ferroviario, oggi via De Gasperi, per essere trasferiti prima nei locali dell’ex Gil e poi ancora alternativamente immagazzinati esposti in diversi locali, compreso il ridotto del Teatro Regina Margherita   per subire ancora ulteriori immagazzinaggi con relativi e conseguenti danneggiamenti.

Il monumento a Umberto I si trova nello stesso luogo dove era stata eretta nel 1832 un’altra statua di un altro re, Francesco I, inaugurata, assieme alla statua di suo padre, Ferdinando I, che era collocata nella Piazza Grande, che da lui prese il nome di Ferdinandea, e che durante la rivoluzione del 1848, per altri motivi (prevalentemente politici) sono state abbattute e vandalizzate sebbene le autorità avessero cercato di salvaguardarle ingabbiandole entro alte mura ricoperte da tricolori e apposto il ritratto di papa Pio IX (in segno di protezione). La Sicilia gridava Viva Pio IX per la costituzione che questi aveva dato nel regno pontificio e unificava con quello la causa di libertà

La rivoluzione del 1848, nata ufficialmente il 12 gennaio a Palermo, è che rappresenta la prima di tante altre che scoppieranno in Europa per le conseguenze della restaurazione del congresso di Vienna.

Caltanissetta ufficialmente vi aderisce il 28 gennaio, ma che molti non sanno, è stata la culla, il luogo dove è stata concepita perché il maggiore protagonista, dichiarato per l’occasione “Padre della Patria Siciliana” era Ruggero Settimo, che visse e operò a Caltanissetta, dove si era ritirato dopo essersi dimesso da ministro, abbandonando la vita politica. 


A Caltanissetta, il suo contatto con la gente gli consenti di sviluppare maggiormente quell’idea dell’indipendentismo siciliano, che lo aveva portato alle dimissioni dopo il primo tentativo non riuscito del 1820 tanto da essere scelto come presidente del “governo siciliano”.

Nel progetto di Sicilia Confederata, era stato scelto di offrire la corona di Sicilia ad Alberto Amedeo di Savoia duca di Genova, che però rifiutò.

La rivoluzione finì, quando Ferdinando II invia in Sicilia 16.000 uomini per riconquistarla, e proprio a Caltanissetta il 27 aprile 1849, ebbe termine la rivoluzione con l’Ordine del giorno firmato dal Tenente Generale Comandante in capo Carlo Filangieri Principe di Satriano.

La rivoluzione  del 1848, con il suo impatto storico è diventata nel linguaggio popolare simbolo di improvvisa confusione e scompiglio con l’espressione “fare un quarantotto”.





Premesso che:
Caltanissetta, in occasione della visita di Re Ferdinando del 3 maggio del 1806, prepara, come apprendiamo dal manoscritto “Notizie Cronologiche spettanti al convento de’ Cappuccini di Caltanissetta dall’anno MDXXV sino al presente”, trascritto nel 1895 “(...)In centro la piazza fu eretta una statua del sovrano di stucco per un provituario stante la brevità del tempo col permesso reale e appresso farsi di marmo o bronzo. (...)
Dopo essere stata elevata a città Capovalle nel 1818, e per questo liberata dal giogo feudale dei Moncada, Caltanissetta resta grata e legata alla casa regnate, e con Delibera n. 31 del  1819 marzo 28, decreta di sostituire la statua in stucco che era stata costruita precedentemente con un’altra di marmo, avendo avuto da Ferdinando I il permesso di erigere nella pubblica piazza una statua raffigurante la sua persona, che d’allora si chiamò piazza Ferdinandea:
“Sensibile il Decurionato alli segnalati beneficenze che la clemenza di S.R.M. il nostro Augusto Re Ferdinando primo, si è degnato impartire a questo Comune per manifestare la sua eterna gratitudine e riconoscenza ha deliberato che la statua della prelodata M.S. attualmente per sovrana munificenza situata in questa pubblica piazza, sia costruita in marmo col piedistallo corrispondente e che sia situata nello stesso sito, ove attualmente; e perché tal’opera sia portata al suo compimento al più presto possibile, delibera che all’avanzi dell’anno 1817 rimasti liberi nella Cassa comunale si erogasse la somma di onze 400 per la sollecita costruzione di tale monumento”.
Altre delibere vengono fatte per la realizzazione dell’opera (Delibera n. 40 del  1819 aprile 25) con un’attenta ricerca di mercato fino all’accettazione della  relazione preventiva redatta da D. Federico Siracusa “scultore figurinista di marmi della città di Palermo”.- Delibera n. 3 del  1820 febbraio 16.
Dopo la rivoluzione del 1820, in occasione della quale aveva subito indicibili violenze e distruzioni per essersi schierata a favore della casa regnante da parte dei mercenari al soldo del Principe Galletti di S. Cataldo, si torna alla carica per la riedificazione della statua di Sua Maestà  abbattuta durante i moti del 1820. con la - Delibera 33 del 1821 Settembre 06
Alla morte del Re Ferdinando I, avvenuta l’8 gennaio 1825, la statua  a lui dedicata non è ancora stata realizzata, e quella che c’era distrutta durante “l’anno dell’assassinio”del 1820. Gli succede il figlio Franceso I, che già era stato reggente dal 1812 al 1820.
Con Regio Decreto n. 69 del 22 febbraio 1825, concede alla città di Caltanissetta il diploma di “fedelissima” per la fedeltà mostrata durante i moti del 1820.
Così il Decurionato  con Delibera  n. 17 del 1828 febbraio 10 stabilisce per l'erezione delle statue in marmo delle Sovrane maestà Ferdinando I e Francesco I.
Su questo tema le delibere si succedo rapidamente - Delibera 25 del 1828 marzo 02- Delibera 35 del 1828 marzo 09 Delibera 91 del 1828 dicembre 07
con la delibera n. 93 del 1828 dicembre 22si ammette D. Valerio Villareale per autore de' Regii Simulacri degli Augusti Sovrani Ferdinando primo, di gloriosa rimembrazione e del felicemente Regnante figlio Francesco I”.
Il valente scultore Valerio Villareale, è quello prescelto per modellare le statue; il costo viene quantificato in 3.000 onze e rogato il 19 luglio 1829 dal Notaio Giuseppe Tumminelli;
a questo punto si danno ampie facoltà alla deputazione eletta per la formazione dei Simulacri delle Maestà Ferdinando primo di gloriosa Rimembrazione Francesco primo felicemente Regnante, con Delibera n. 94 1828 dicembre 22; con sollecito sui mezzi stabiliti per l'erezione dei reali simulacri con Delibera n. 24 del 1829 maggio 24;
Inoltre, essendo nel frattempo morto anche Francesco I il giorno 8 novembre 1830, si inizia un nuovo iter per l'erezione della statua per il suo successore Sua Maesta Ferdinando II con  le Delibere n. 75 del 1830 febbraio 28; e Per impetrare la erezione del Real Simulacro in marmo di Sua Maestà Ferdinando Secondo felicemente regnante, Delibera n. 5 del 1831 gennaio 16; Sui mezzi per la formazione della statua di Sua Maestà Ferdinando 2° nostro Augusto Sovrano Delibera 40 del 1831 aprile 17; Sui Reali Simulacri Delibera 65 del 1831 agosto 21;

Lo storico Giovanni Mulè Bertolo nel suo “Caltanissetta nei tempi che furono e nei tempi che sono” ci informa che:
Le statue di Ferdinando I e Francesco I, riuscite di una fattura veramente artistica, vengono innalzate la prima nel centro della piazza principale e la seconda nel piano della chiesa di s. Agata, la solenne inaugurazione ha luogo il 25 e 26 aprile 1832.”
     Sappiamo inoltre, da altri documenti, che la statua di Ferdinando Borbone era di marmo di ottima fattura era ammirata da persone esperte era rispettata dai notabili, era posizionata ai piedi della gradinata della vecchia Casa Comunale, con le spalle alla Cattedrale ritratto come un imperatore romano.
     Mentre nel  piano del Collegio c’era quella di Francesco I, ben posizionato in quel piano dove spiccava.
Le statue marmoree di Francesco I e Ferdinando I, di Valerio Villareale, “i cui titoli risplendono ne’ lavori del suo scarpelloabbattute e distrutte durante i moti antiborbonici del 1848, ... sono statue vestite “all'eroica”, realizzate sullo schema del prototipo canoviano di Ferdinando I di Borbone 
Il periodico “La Cerere” descrive così i suoi lavori:
 “mostra un atteggiamento del tutto romantico nell’approccio critico. Se da un lato se ne apprezza infatti la desunzione da modelli classici…chiunque abbia con diligenza osservato le statue greche, e quelle del Canova avrà potuto ben ravvisare in questa del Villareale l’elegantissimo stile da lui ricavato col vivo studio di trent’anni in Roma su quei egregi modelli
Giornale  di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia:  “Il nostro valoroso artista D. Valerio Villareale è stato chiamato in Napoli da S. M ed abilitato al concorso con alcuni bravi scultori Romani per formare il modello della colossale statua del nostro Sovrano. Noi abbiamo molto da pensare nella sua nota abilità pel suo trionfo che sarebbe quello della Sicilia.
Riporto la descrizioni di un’altre statue a loro  dedicate, dalle quali si deduce che tutte le state avevano sostanzialmente la stessa impostazione che ci da l’idea di come potevano essere.
   Ecco una descrizione dell'epoca, relativa alla statua di Francesco I a Catania, attualmente posta all'interno dei giardini di Villa Bellini, originariamente posta piazza Università, tratta dal Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia -anno 13, vol. 49- 1835, p.277, fatta da Lionardo Vigo e grazie alla quale è stata identificata:
“…vestir semplicissimo antico, nude braccia, gambe, ginocchio, testa, coverto il dorso di pallio, che un’armilla ferma sul destro omero, il petto di corazza merlata, di cui sotto una tonicella mezzo gli vela le cosce, e i piedi di coturno…il protendere la (mano) destra con liberale atto, l’appoggiare il manco braccio,con cui impugna lo scettro, sopra un’erma di Pallade sorgente a lui di costa, tenendo immota la mancina gamba…”
(pubblicato su http://comitatosiciliano.blogspot.it/2009/01/identificata-una-imponente-statua.html)
E per finire, due indicazioni descrittive inequivocabili che ci hanno tolto gli ultimi dubbi su chi fosse il soggetto della statua:
 “...L'armatura, che veste il monarca, è lavorata con massima perfezione: ma perché sulla corazza 
scolpire due ippogrifi invece dell' aquila siciliana?
"Se il Cali fosse stato guidato da sperti uomini, ne’ 15 merli della corazza posto avrebbe simboli leggiadrissimi e di storica significanza...”

Dalla descrizione della statua di Francesco I realizzata a Messina dai f.lli Subba tratto da Poliorama Pittoresco - 1836 – Napoli:
"….Nella fisionomia di Francesco I. è nobilmente ritratta la sua figura in dignitoso atteggiamento ; che mentre coll'una mano impugna  Io scettro, con la destra sporta in avanti accenna di proteggere. Il sinistro piede in atto di muovere un passo da alla statua anima e vita come di chi sente e spira. Folta ed in parte legata al vertice la chioma , e in molto altre ciocche sugli omeri si diffonde. L' elmo è foggiato alla greca , ha una criniera sovrapposta ad una sfinge ed è ornato di cavalli a bassorilievo, e cinto d'una corona di lauro. Le cosce sono coverte dalla lunichetta ed il torace dalla corazza. E mentre la trinacria sostenuta da due genii zanclei forma il fregio emblematico dell'usbergo, la spada col fodero ornato di figurini e arabeschi pende da un'armacollo tutto gemmato. Eleganti sono i calzari, che dal piede innalzandosi sino a mezza gamba hanno all' estremità superiore la maschera, ed il fermaglio inciso a squama a somiglianzà dei brindacoli. Da ultimo il manto leggero e talare veste il dosso senza nascondere la bellezza delle forme.
Alta palmi 12 e mezzo incluso il plinto, poggia sur un piedistallo, disegnato e diretto dagli stessi fratelli Subba unitamente agli altri bassi-rilievi che vi sono.
Nella fronte sul sommo del quatrifondo vi è scolpita una corona greca, con labaro, (monogramma di Cristo) ed un ramo di ulivo dinotanti le virtù religiose del Sovrano Francesco I. Dalla parte del nord una ghirlanda d'alloro, con caduceo ed una palma emblemi di gloria o di sapienza: da quella d'oriente un' altra simile ghirlanda di quercia con lancia e scimitarra che n'indicano la fortezza: ed a quella di mezzogiorno un diadema, un asta, ed uno scelttro gigliato a dinotarne l'impero. In fine ne' quattro fondi al disotto si osservano quattro bassi-rilievi con mirabile perfezione eseguiti. Può quindi preconizzarsi questa statua per uno de'più belli lavori del moderno scalpello.” tratto da Poliorama Pittoresco - 1836 – Napoli
(pubblicato in http://comitatosiciliano.blogspot.it/2009/03/la-statua-di-francesco-i-di-borbone-in.html)
Riporto le iscrizioni, delle statue di Caltanissetta che vi si scolpirono e che son dovute alla penna del cassinese p. Barnaba La Via:

        Nel piedistallo di Ferdinando I


  I                        Ferdinando I
                       Optimo Principi
                               Quod
                     Antiquato feudali jure
                 Sanctiores utique Siciliae
                          Tulerit leges

II              Regi munificentissimo  
             Quod decimo tertio abhinc anno
                In Provinciae Prefecturam  
                    Hanc urbem adlrgerit   
                  Suae dignitatis auctori 
                     Perenne monumentum   
                           M. P. Q. C.    
                    anno MDCCCXXX      


 III.                    Calatanixecta
               Faustissimo  principis adspectu
                            exhilarata
                        anno MDCCCVI
              hoc laetantis animi signum




      Nel piedistallo di Francesco I

I             Francisci I Regi nostro
                      Pientissimo
 Pubblicorum ad beneficentiam operum
                        Fautori
          Religionis sc pietatis exemplo
            Ad Bonae frugis normam
              omnia instaurandi
       
II            Clementissimo Principi   
     Pro sua in hanc urbem benevolentia   
                          Patri Patriae
                   Jure Merito Nuncupato
                In grati animi testimonium
                            M. P. Q. C
                    anno MDCCCXXX

III                    Calatanixecta      
              Borboniis Regibus addictissima 
                         A Francisco I   
   spectatae fidei aestimatori indulgentissimo   
                    anno MDCCCXXV    
                    Titulu Fidelissimae  
                       Concordata           


 M. P. Q. C l’acronimo del latino Municipius Populus-Que Calatanisiedensis, che era posto nei due piedistalli significa: il Municipio e  il Popolo Caltanissettese,  che racchiude in se il potere del Municipio e del Popolo, cioè le due classi  il Decurionato e i cittadini che formavano insieme la Città di Caltanissetta.
Questi acronimi, possiamo dire, che ogni città poneva nelle sue iscrizione, deriva da quello storicamente più noto SPQR  Senatus Populus-Que- Romanus che racchiudeva in se il potere di Roma
     Caltanissetta aveva più volte richiesto con  apposite delibere del Decurionato, che venisse concesso il titolo e gli onori di Senato a favore del “Corpo Municipale” e di Patrizio a favore del Sindaco. Delibera: n. 90 del 08 novembre 1835, richiesta ribadita Delibere n. 36 del 1847 aprile 11 e  n. 46 del 07 luglio 1858, e divenire S.P.Q.C.  Senatus Populus-Que Calatanisiedensis.
Queste richieste si giustificano perche a seguito del “Decreto sull'amministrazione civile de' dominij al di là del Faro” dell'11 ottobre 1817 n. 932 le città Capovalle venivano classificate di prima classe, e stabiliva il mantenimento dei titoli già concessi (Senato per i decurioni di Palermo, Catania e Messina e il titolo di Patizio al Sindaco di Palermo e di Pretore a quello di Catania).
A causa delle rivoluzioni le richieste non hanno avuto esito.

Mentre Michele Alesso ci tramanda che:-“La costruzione d’una fontana decorativa nella piazza Garibaldi diè occasione al ritrovamento d’una statua in marmo di magistrale scalpello. È il simulacro di Ferdinando I  in veste di guerriero romano: una delle più riuscite opere dell’insigne artista siciliano Valerio Villareale, discepolo del famoso Canova.
Questa statua, che posava su  marmoreo piedistallo a base quadrata, sorgeva nel bel mezzo della piazza, ed era stata eretta nel 1832 a spese del municipio, in attestato di perenne gratitudine al sovrano borbonico, che aveva elevata la nostra città a capovalle. Altra statua dello stesso autore ed eretta anch’essa nel medesimo anno in onere di Francesco I, faceva bella mostra nel piano del Collegio. Ambedue i monumenti, voi lo sapete, furono abbattuti nel  1848, allorquando il Parlamento Speciale del Regno di Sicilia, decretando il decadimento dell’ex re Ferdinando e della dinastia di lui dal trono di Sicilia, disponeva altresì sottrarsi dalla pubblica esposizione le statue di Francesco I e di Ferdinando I. Con suo deliberato la Commissione comunale, non volendo distruggere i due colossali simulacri, aveva presa l’ottima determinazione di rivestirli di muratura; ma, avendo impegnata la spesa destinata a questo scopo in altri lavori, dovette atterrarli. Ciascun basamento era un parallelepipedo costituito  da quattro lastre di marmo bianco di forma rettangolare, recanti simboli e iscrizioni. Posso soltanto parlarvi di due di tali lastre, che il cavaliere Angelo Sillitti volle sottrarre alla distruzione, facendole collocare in una parete in questo ospizio di Beneficenza. Nella prima v’ha la figura in basso rilievo di un cane accovacciato, emblema della nostra città, che meritò più volte il titolo di e il disegno della moneta greca con la scritta ΝΙΣΑΙΩΝ; nell’altra v’ha lo  stemma della città con la dedica al sovrano e l’intreccio di due cornucopie che danno frutta e cereali in abbondanza, simbolo della fertilità delle nostre terre. Di altre potrei riportarvi le iscrizioni: ma mi basta farvi conoscere che esse oggi fanno da tavole da pranzo nel refettorio d’un piccolo istituto della nostra città. Pertanto m’è doloroso dirlo: la statua effigiante Ferdinando I, rinvenuta, come ho detto, pochi anni or sono, si laciò a deteriorare in fondo al cortile del nostro Municipio”.

Il Comitato Centrale della Valle costituitosi il 29 gennaio sotto la presidenza del cav. Barile di Turolifi a salvare queste due pregevolissime opere d'arte dell'insigne scultore Villareale, dall'inconsulta ira popolare (che nei momenti di parossismo rivoluzionario, non guarda all'arte, ma sfoga il suo odio contro il simulacro che rappresenta il tiranno), aveva fatto rivestire i due simulacri marmorei di muratura,per toglierli alla vista del popolo,
“Il decreto 13 aprile, che dichiara decaduta dal trono di Sicilia la dinastia de’ borboni, provoca cone si è detto, un generale tripudio nel popolo, il quale vede di mal occhio le due statue di marmo, che sorgono l’una in piazza Garibaldi e l’altra nel pianerottolo dinanzi la chiesa di S. Agata e che rappresentano Ferdinando I. e Francesco I.
   La presenza di quei due monumenti in onore di deposti spoliatori delle guarentigie secolari di Sicilia sono una continua provocazione del patriottismo caltanissettese.
   Il Comitato Centrale, in omaggio al volere popolare, dispose di sottrarsi alla vista de’ cittadini le figure marmoree dovute allo scarpello del sommo artista palermitano Valerio Villareale.
   Riconoscendo la difficoltà di porle giù e pur volendole conservare, come monumenti d’arte, delibera di rivestirle di fabbrica, trasformandole in due obelischi decorativi.
   ….E il rivestimento viene eseguito e la spesa è approvata il 29 maggio”….
   Il popolo, non ostante che i due simulacri di Ferdinando e di Francesco I. siano coperti di muratura, mosso da gente, la quale fa consistere il suo patriottismo nel propugnare idee troppo spinte ed esagerate, insiste perché le statue siano mandate giù e il Presidente del Governo nel Consiglio del 30 giugno, secondando i voti ritenuti popolari, dispone che “le statue di tiranni Borboni, non dovendo più  stare in un paese che le abborrisce, innalzate in distinto luogo si tolgano e si ripongano in un luogo recondito fino a che uomini d'arte da spedirsi da qui (Palermo) non  giudicassero sul loro merito artistico” (lettera del Ministro della p. i. e de’ lavori pubblici del 1 luglio 1848 al Presidente del Magistrato Municipale.)
Saggia e prudente disposizione, che concilia il valore del popolo col rispetto dovuto alle manifestazioni delle arti del bello!
E dal giorno 4 al giorno 12 agosto le statue vengono deposte. Vandalismo imperdonabile! Liberali da trivio commettendo il grave delirio di mutilarle, l’una di un braccio e l’altra del capo, che è portato in trionfo sino a Babbaurra e spesso serve da palla, rotolandolo sulla strada, che riesce a s. Cataldo. Carità di patria consiglia al Magistrato Municipale di constatare la mutilazione senza più!
Le statue vengono sepolte nel luogo stesso, in cui sorgevano, e i piedistalli, che rimangono integri, si conservanoin una stanza del Collegio dei pp. Gesuiti.
Dicesi che lo scultore Villareale, fatto consapevole di tanto vandalismo, abbia pianto la perdita delle sue stupende creature. E vandalismo di tal fatta non si è deplorato solo in Caltanissetta: anche in altre città, e fra le più cospique dell’isola, non si risparmiano pregevolissime opere d’arte!”La rivoluzione del 1848 e la provincia di Caltanissetta Di Giovanni Mulè Bertòlo pagg. 112-18 (130-38)

     Durante la rivoluzione il popolo cominciò a sfogarsi contro la monarchia borbonica, denigrando le statue che la rappresentavano così la vigilia di Pasqua il popolo ribelle li ha voluti mettere alla berlina, facendo cose indicibili per la loro gravità deturpandoli Francesco lo fecero trovare travestito come si fa a carnevale con il viso imbrattato  con nero fumo, mettendogli il berrettone di Pulcinella e sul braccio la lupinella (pianta erbacea da foraggio con foglie pennate e fiori rossi, della famiglia delle Leguminose per significare la sua ignoranza);  a Ferdinando I padre di Francesco lo si trucco da Menelao per vilipenderne più imunemente la figura.
 Il Comitato centrale per salvaguardarle, vista l’impossibilità di rimuoverle per le dimensioni, decide di occluderle alla vista isolandole e coprendole con un muro attorno, realizzando così delle torri (obelischi).

 Tutt’intorno fu affisso, tra bandiere tricolori costituzionali, il ritratto di Pio IX, in segno di protezione. 

Nonostante le statue fossero state isolate, alcuni facinorosi decidono di distruggere quei simboli, abbattendo i muri così  dal giorno 4 al giorno 12 agosto le statue vengono deposte e vandalizzate.  

Le mura, bandiere e il ritratto del Papa Pio, non sono serviti a fermare qualche testa calda.
Le teste dei sovrani vengono stroncate dal busto diventano conquista della plebaglia e dei ragazzi. Quella di Ferdinando I è portata a Babaurra e poi rotolata sino a S. Cataldo, esposta a nuovi ludibrii. L'altra fu rotolata e sepolta nella fossa della neve (nivera) dopo la chiesa di S. Domenica, e vicino al punto dove si giustiziavano i condannati a morte. Il torso e la gamba d'una delle statue furono portate alle miniere del Iungio, a far da colonne di sostegno nelle discenderie.
Il torso di quella di Ferdinando fu sotterrato nella stessa piazza e venne esumato verso il 1883 per essere internato nel nuovo Palazzo Municipale, in occasione della venuta dell'acqua di Geracello,epoca in cui si volle far sorgere in quel luogo una vasca con artistici zampilli d'acqua, che fu rimossa a sua volta dopo il 1890 per dar luogo al totale basolamento della piazza Garibaldi. I piedistalli cogli zoccoli, che rimasero integri, secondo l'asserzione di G. Mulè Bertolo (La rivoluzione del 1848 Caltanissetta tip. Ospizio Prov. di Beneficenza p. 130) si conservano in una stanza del Collegio de' pp. Gesuiti (allora Liceo Ginnasiale Ruggero Settimo).
Secondo il can. Pulci, e come visto, Michele Alesso invece, sono del parere che le iscrizioni,  furono date alle Orfanelle del Signore della Città per realizzane le tavole del refettorio, più una lastra in cui trovasi scolpito a mezzo rilievo un cane che sostiene lo stemma turrito di Caltanissetta, decorata dal sovrano Francesco I del titolo di fedelissima dopo l'Assassinio del 1820.
Dalle mie ricerche, seguendo le indicazioni date, sono riuscito ad individuare il punto esatto dove era posizionata la statua di Ferdinando I, confermate dal segno trovato in alcune  planimetrie dell’800.
La statua era collocata dinanzi alla gradinata della Vecchia Casa Comunale (Municipio), che nel 1848  sorgeva poco oltre quello spazio sul quale fu costruito successivamente il palazzo della Camera di Commercio,  e orientato con le spalle alla Cattedrale.             
Ha ragione il nostro Alesso a lamentarsi di questa incuria e abbandono, mentre, ad esempio  Catania ha saputo rispettare l’arte e la storia posizionando in aiuole e giardini le statue dei re Borboni, che anche lì sono state vandalizzate e decapitate. Così davanti a palazzo Biscari, agli archi, è stata collocata in un’aiuola la statua di Ferdinando II di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie, attribuita a Calì, con la testa decapitata, nel 1860 dalle truppe garibaldine che invasero l’isola e  in reazione antiborbonica decapitarono la testa del sovrano. La statua, fu conservata nei magazzini municipali e ricollocata nel luogo attuale nel 1964 senza testa perché non fu mai trovata.
La statua di marmo, alta più di tre metri mostra il re borbonico in abiti di corte con un ampio mantello rifinito sul retro da fiordalisi.
Cosa portasse nella mano destra e in testa non è dato sapere, probabilmente lo scettro, nel 1860 le truppe garibaldine invasero l'isola e seguirono l'abbattimento e la decapitazione della statua del sovrano, reazione di fanatismo antiborbonico legata agli eventi rivoluzionari.
Mentre quella di Francesco I, che stava in piazza Università è stata posizionata all’interno di Villa Bellini.

A mostrar gratitudine dei Siciliani verso il loro augusto monarca per l’ottimo governo sotto il quale avventurosi vivevano, i Girgentini domandarono caldamente di voler innalzare una statua colossale marmorea a S. M., che venne commessa al valente scultore Valerio Villareale, allievo dell’immortale Canova; ciò che seguirono anche i Palermitani affin di adornare il foro borbonico d’un altro simulacro dei sovrani regnanti di Sicilia, facendo coniare una medaglia  che attestasse l’elevazione al trono dell’augusto Francesco I. L’anzidetto simulacro però non potè compiersi pria dell’ottobre del seguente anno 1828; tempo in cui se ne fece solenne inaugurazione con pubbliche feste e cerimonie; nella quale circostanza l’Accademia di Buon Gusto mostrò con belle poetiche composizioni ‘interna emozione del cuore che provavasi dai cittadini tutti della capitale. La statua rappresentava il re all’impiedi collo scettro in mano, e la seguente iscrizione posta nella base, opera del dotto uomo abbate Nascè allora professore d’eloquenza sublime nella regia università degli studi, spiegava appieno i pregi e le eminenti qualità di colui che volevasi onorare vivente….
Non guari dopo i Messinesi spinti da nobile emulazione fecero analoga proposta al luogotenente onde far consentire dalla M.S. lo innalzamento d’una statua colossale di bronzo rappresentante la sua real persona…” Storia cronologica dei vicere e dei luogotenti e presidenti del regno di Sicilia. Pg 797.

Dopo la rivoluzione e restaurazione della dinastia Borbonica il Decurionato di Caltanissetta continua nella volontà di costruire le statue dei sovani così:

Acquisto dei busti delle Sovrane Maestà.  Delibera n. 26 del 1836 marzo 20
Per erigersi un simulacro di Sua Maestà nella piazza Ferdinandea. Delibera n. 44 del 1849 agosto 05;   
Sulla erezione della statua del Re Nostro Signore e per la spesa bisognevole. Delibera n. 72 del 1849 ottobre 31;
Sull’acquisto ed erezione del Simulacro del Re Nostro Signore Delibera n. 90 del 1849 dicembre 23;
Innalzamento della statua di Sua Maestà Ferdinando Secondo Delibera n. 01 del 1851 gennaio 05;
Sull"erezione in piazza Ferdinandea di una statua in marmo del Sovrano -la statua era da “eseguirsi dallo scultore Cavaliere D. Tito Angelini giusta la Decurionale del 5 Gennaio 1851”Delibera n. 21 del 1853 febbraio 09;
Per la statua di Sua Maestà il Re Nostro Signore (Dei Gratia) Delibera n. 22 del 1858 aprile 07;
 Per la costruzione della statua di Sua Maestà il Re Nostro Signore. Si nomina una deputazione che dovrà recarsi a Napoli al fine di ottenere l’autorizzazione alla costruzione di una statua marmorea raffigurante il Sovrano. Delibera n. 44 del 1858 luglio 07.
Questa è l’ultimo atto ufficiale per la realizzazione di una statua ai sovrani Borboni da posizionarsi in quel tratto di corso che doveva diventare il Foro Borbonico,  prima dei moti del ’48 e dell’Unità d’Italia.


Per concludere sono costretto a ricordare alcune cose:
Più facile ancora è la perdita di memoria se si tratta di concetti, di termini astratti. Per esempio, i principi della Costituzione.
Prima al mondo, la nostra Costituzione pose la tutela dei beni culturali e del paesaggio fra i principi fondamentali dello Stato: l´art. 9 «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») è connesso allo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, e più in generale al «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3).

L’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs.22 gennaio 2004, n.42) afferma:
Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico
Ricordando che: “Sono beni culturali le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive e religiose”.
L’art. 169: “E’ punito con l’arresto […] chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell’art. 10.

Trascrivo il commento di un "anonimo", che mi sembra calzi a meraviglia:

"Le parole e le cose, si sa, possono divorziare.
Per questo, in quel paese senza memoria, Macondo di Cent´anni di solitudine, Aureliano Buendia «con uno stecco segnò ogni cosa col suo nome”.
Viveva in una stanza dove «sul comodino c’è scritto COMODINO, sulla lampada c’è la parola LAMPADA, sul muro c’è una striscia di nastro con scritto MURO». 
Stiamo parlando di oggetti, di cose. Più facile ancora è la perdita di memoria se si tratta di concetti, di termini astratti. Per esempio, i principi della Costituzione.
Prima al mondo, la nostra Costituzione pose la tutela dei beni culturali e del paesaggio fra i principi fondamentali dello Stato.
Perciò l´art. 9 («La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») è connesso allo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, e più in generale al «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3).
Ma, come a Macondo, anche nel tuo Paese, caro Architetto, qualcuno lo ha dimenticato.
Mi chiedo perché, nonostante nel mondo tutto sembri muoversi abbastanza velocemente, lanciando segnali di cambiamenti in alcuni casi epocali, in Italia e soprattutto in Sicilia, al contrario, viviamo la sensazione costante di un immobilismo che ci fa sembrare di non essere neppure parte del mondo.
Se c’era bisogno di una prova per dimostrare il completo fallimento del modo in auge d’intendere la gestione dei Beni Culturali, ebbene eccolo: è proprio nei fatti e nei risultati dell’operare di “alcuni” (ahinoi! addetti ai lavori), i quali continuano incuranti dell’Art.9 della Costituzione.
Ma la cosa che ritengo ancor più grave è che, sempre loro, (gli addetti ai lavori) dimostrano con il loro operare che l’origine del furto sociale non è tanto la proprietà privata quanto l’esproprio e l’imposizione gerarchica della gestione dei Beni Collettivi.
La Sicilia è il paese degli scenari architettonici che tutto il mondo ci invidia, ma è anche e soprattutto il palcoscenico dove si è raccontata quotidianamente la costruzione della nostra società civile.
Ogni paese è luogo dove si sono rappresentati, dall’Unità in poi, i riti di una tradizione civile; gli scorci, i cortili, le piazze sono diventati “agorà della memoria” e i monumenti in essi ospitati “altari” laici, sui quali si sono formate intere generazioni di cittadini.
Il problema dello spostamento della statua di Umberto, la demolizione dell’ex Mulino Salvati, a Caltanissetta, va ben oltre l’aspetto urbanistico e architettonico e investe direttamente il difficile equilibrio tra la città e la sua memoria. 
Ora, senza voler entrare nei dettagli sulle responsabilità di noncuranza del monumento, c’è da evidenziare che quest’ultimo non può prescindere dalla storia recente che evoca questo luogo.
Pertanto sarebbe opportuno che con te in testa, Architetto, la città reagisse all’oblio della propria memoria, che le forze sociali e politiche si facessero interpreti di un atto di coraggio e cogliessero questa occasione per dare un segnale forte e di esempio a coloro che continuano ad oltraggiare ed ignorare l’Art. 9 della nostra Costituzione.
P.S. In bocca al lupo, Architetto, e complimenti per l’impegno civile."
Laura Carracchia


L'autrice di questo commento di "anonimo", anonimo non è perchè è firmato in calce:
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